Pensieri di una freestyler, #2
Settimana 6 post operazione 2.0
Durante i primi mesi post operazione si ha l’impressione che il tempo passi molto lentamente. Se tutto va bene, ci sono progressi giornalieri e la riabilitazione procede normalmente, ma si ha comunque una diversa percezione del tempo. Le alternative per restare “sani di mente” sono diverse. Uccidersi di ore in palestra ogni giorno funziona per poco tempo e purtroppo non è la soluzione più adatta subito dopo un intervento.Tenere la mente impegnata, è quello che nella maggior parte dei casi aiuta di più. Riempire in modo meticoloso le ore della giornata. Far lavorare corpo e mente durante la riabilitazione, ma non dimenticarsi di farli lavorare fuori dalle quattro mura dello studio medico o della palestra, con lunghe sessioni di stretching e meditazione, che fanno sempre parte del processo di riabilitazione e guarigione, anche se vengono svolte in modo più passivo.
Nel mio caso, in cui non ho ancora trovato il percorso scolastico giusto da seguire e che contemporaneamente mi permetta di svolgere la mia attività sportiva, iscrivermi ad un corso di lingua mi sta aiutando molto. Ottenere dei buoni certificati di tedesco e inglese sono gli obiettivi che mi sono fissata in parallelo alla riabilitazione per i prossimi mesi.Studiare, interagire con gente di diverse culture, stimolare la mente in modo diverso da quello che ho bisogno durante la fisioterapia è quello che mi ci vuole. Ogni giornata la inizio con grande entusiasmo. Le prime ore del mattino le passo in palestra per mantenere la muscolatura del resto del corpo, poi vengo seguita dalla fisioterapista per precisi esercizi riabilitativi del ginocchio. Poi, giusto il tempo di una doccia e di pranzare e passo il pomeriggio in classe. Dopo la lezione ritorno in palestra per un’altra sessione di allenamento oppure una lunga seduta di stretching, che ogni tanto è l’attività migliore per il nostro corpo!
Settimana 7 post operazione 2.0
Il rispetto che un atleta ha per il proprio corpo è enorme. Anche quando si è nella miglior forma fisica, spremerlo sempre al massimo può metterlo in pericolo: le articolazioni si lussano, i muscoli si strappano, il corpo si logora per poi essere riaggiustato. Ma le cicatrici rimangono, come storie sulla nostra pelle, per ricordarci da dove siamo partiti. Gli infortuni non accadono mai nel momento giusto, soprattutto nello sport, ma ci sono momenti peggiori di altri.
Ricordo che il giorno prima del mio ultimo infortunio a febbraio, mi trovavo a Winter Park, negli Stati Uniti. Mentre l’allenatore e la fisioterapista cercavano un posto dove parcheggiare l’auto, io mi incamminavo verso il ristorante, dove avrei fatto il mio riscaldamento prima di iniziare a sciare. Camminando guardavo la pista sulla quale mi stavo allenando da qualche giorno per i Mondiali che si sarebbero svolti qualche giorno dopo.Nonostante alcuni dubbi e paure che da dopo gli infortuni mi accompagnavano anche al di fuori dello sport, ero convinta che ne era valsa la pena averci provato ogni volta. Sapevo che la strada era ancora lunga, ma stavo riconoscendo gli sforzi che avevo fatto e l’aiuto incredibile dei miei allenatori durante gli ultimi anni. Lì, in quel momento, ero convinta che i pezzi dell’immenso puzzle che stavo costruendo da tempo, cominciavano ad avere un senso. Finalmente riuscivo a fare una tournée di Coppa del Mondo, a gareggiare a un Mondiale e a godermi di più le sessioni di allenamento sulla neve senza essere troppo severa con me stessa. Meno di 24 ore dopo, durante un atterraggio da un salto, in una frazione di secondo, il ginocchio fece un movimento strano, sembrò uscire e poi rientrare; sapevo che era successo qualcosa, sapevo che non era qualcosa di bello e che probabilmente era meglio evitare di continuare a sciare. Cominciai ad avere un po’ male e capii che anche questo non era un buon segno. Così decisi di scendere di fianco alla pista, mantenendo il peso sulla gamba sana. Erano tanti, tantissimi i pensieri che mi attraversavano la testa, anche se cercai freddamente di evitarli, ero cosciente che forse non avrei avuto l’occasione di partecipare all’evento più importante della stagione e sciare sulla pista più bella del circuito, la quale non avevo neppure avuto la possibilità di vedere. Così mi ritrovai a fare quella stessa strada, al contrario, dalla pista verso il parcheggio, singhiozzando e zoppicando un po’, sperando che non fosse nulla di grave.
Il giorno dopo ebbi l’occasione di vedere la pista di Deer Valley, the “Champion Run”, dall’appartamento in cui il dottore di Swiss-Ski mi comunicò l’impossibilità di gareggiare e la necessità di ritornare in Svizzera a causa di una probabile rottura del crociato anteriore del ginocchio. E tutto ad un tratto mi rensi conto che per completare il puzzle mancavano ancora moltissimi pezzi…